MORÂRS E GALETE




Il progetto


A Fagagna, nel 1884 nacque l'Associazione fra i proprietari bachicoltori del comune, dalla quale ebbe origine un Osservatorio Bacologio il cui compito era confezionare il seme che veniva poi distribuito tra i soci. Una realtà importante per il territorio in quanto in questa struttura trovavano lavoro circa 40 donne per circa 200 giornate all'anno.

Partendo da questo tassello di storia locale, il progetto ecomuseale si compone di una mostra tematica con un intervento sul territorio e la collaborazione con il Comune di Dignano, che ha avviato un importante progetto di recupero della filanda locale per favorire l'inclusione sociale e l'autonomia personale di soggetti in difficoltà.

La mostra ha come obiettivo l'essere una "mostra viva" , con non solo l'esposizione di reperti collegati alla bachicoltura, ma anche la riproposizione dell'allevamento dei bachi con la loro alimentazione al fine di far seguire, soprattutto alle scuole in visita, il ciclo di vita del baco da seta.
Nel corso di tale esposizione verrà proposta alla comunità un'uscita sul territorio nel mese di maggio, con il supporto di guide naturalistiche del gruppo For - Est (Esperienze Scoperte Territorio) - Studio naturalistico.


La mostra




Seribachicoltura in Friuli


Diffusione del baco 

Il primo seme dei bachi deriva dai paesi dell’Himalaya (551 d.C.). Da Costantinopoli la bachicoltura si diffonde nei paesi del Mediterraneo espandendosi fino in Europa, dov’è l’Italia a mantenere il primato produttivo per via delle condizioni ambientali favorevoli.

Nel 1000d.C in Sicilia, per poi raggiungere l’area della Lucchesia, nel 1200, la bachicoltura si diffonde risalendo fino all’Italia settentrionale dove sono le regioni del Veneto e del Friuli ad essere le principali produttrici/esportatrici di seta.

L’allevamento dei bachi diventa la più redditizia fonte di guadagno per le campagne venete e friulane, tale condizione perdura ben oltre la caduta della Serenissima, per esaurirsi a cavallo degli anni 60 del XX secolo successivamente al secondo conflitto mondiale.

Antonio Zanon

I gelsi e l’utilizzo delle loro foglie per l’allevamento dei bachi costituisce uno dei pilastri della tradizione agricola friulana dal XVI secolo al secondo dopoguerra. La seri-bachicoltura coinvolge un’ampia fascia della popolazione, creando una filiera produttiva simbolo di una piccola rivoluzione industriale compresa e sfruttata, per dare un impulso al mercato, dall’economista Udinese Antonio Zanon. Il quale, sostenuto dal Fagagnese Fabio Asquini, punta a risollevare l’economia friulana incentivando l’incremento della coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi, ambendo dunque al rinnovamento dell’agricoltura e delle attività industriali in Friuli. Egli si scontra però con la proprietà fondiaria tradizionale opposta al nuovo percorso intrapreso dai contadini verso la nuova coltura.

Crisi di metà 800

Nell’800 si ha l’esplosione della gelsibachicoltura, numerosi i gelsi piantati e gli studi/sperimentazioni con innesti volti all’aumento di produzione e qualità delle foglie. Nel 1850 scoppia una crisi causata da una malattia sconosciuta, la pebrina. Sorgono le stazioni bacologiche, la cui capacità zooiatrica permette di ristabilizzare la produzione di bozzoli. Sempre nella seconda metà dell’800, si diffondono 2 importanti strutture industriali: l’essiccatoio bozzoli e la filanda. La manodopera è prevalentemente femminile, le condizioni lavorative sono precarie e i bassi redditi costituiscono una nuova entrata nell’economia delle campagne.

Friulani protagonisti della sericoltura

Tra le figure friulane protagoniste della storia della sericoltura nell’800 vanno citati:

-Gherardo Freschi: pubblica nel 1842 la rivista “L’Amico del Contadino”, mostra vivo interesse per l’educazione popolare puntando al miglioramento delle condizioni dei meno abbienti. È uno strenuo divulgatore, in congressi italiani ed europei del settore, e difensore del movimento a favore delle filande rurali.

-Luigi Chiozza: ricercatore scientifico nel campo della bachicoltura, debella la pebrina e sviluppa un metodo preventivo.

-Carlo Kechler: gestisce da imprenditore il setificio di Venzone le cui sete sono diffuse nei mercati europei e apprezzate soprattutto a Lione. S’impegna ad ammodernare il settore, tentando una separazione tra attività manifatturiera e quella agricola in modo da evitare che i lavoratori della filanda vengano anche impiegati nei lavori di campagna. Costruisce inoltre un opificio per l’incannaggio della seta. Egli sostiene che elevata qualità, miglioramento delle condizioni ambientali e una rapida distribuzione possano scoraggiare la crisi ed il declino del settore.

-Luigi Gabriele Pecile: senatore delle pagine del “Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana” in cui si affronta temi legati alla seri-bachicoltura e trasmette esperienze pratiche frutto della sperimentazione nella propria azienda. Invita, a tal proposito, a Fagagna il prof. Federico Viglietto il quale tiene delle conferenze domenicali riservate ai contadini.

Dalla pebrina, al secolo d’oro, all’oblio

Nel 1800 la pebrina colpisce, come precedentemente accennato, gli allevamenti, la reazione fu duplice: creare/potenziare studi e istituti scientifici, favorire l’industrializzazione dei processi produttivi. La crescita del settore si protrae fino al 1950, successivamente inizia il declino del settore causato dalla forte concorrenza straniera e dall’affermazione delle filiere tessili artificiali. Un altro fattore incisivo è l’abbandono delle campagne, a cui sono preferite le città e il lavoro in fabbrica.

Tentativi di ripresa

Protagonista della ripresa in Friuli è Alfeo Mizzau, promotore e animatore del settore, ambisce al recupero dell’agricoltura nel segno della tradizione e alla modernizzazione. Spedisce, dunque, una commissione di lavoro in Cina dal ’50 al ’60, per studiare il metodo d’allevamento industrializzato cinese e per favorire i rapporti commerciali diretti al rinnovamento e allo sviluppo dell’industria italiana della seta. Tale esperimento fallisce per via della forte concorrenza asiatica e degli scarsi risultati ottenuti. Negli anni ’90 è il Veneto a detenere il primato dell’allevamento dei bachi, un simbolo di ripresa che risulta effimero: i bachi cessano di imbozzolarsi. Il problema è causato da un insetticida utilizzato per trattare fruttifere e viti, ormai diffusosi per via aerea ai gelsi. Viene così ideato un mangime per bachi in grado di sostituire le foglie dei gelsi contaminate.

Dal 2012 a oggi la bachicoltura in Italia risorge: minore inquinamento da gelsi, corsi istruttivi per allevatori specializzati nella produzione di bachi per l’industria. Mentre in Cina la bachicoltura è in declino, nel Nord Italia, invece, la produzione di seta è ripartita destinando il prodotto all’industria cosmetica e dell’abbigliamento. Purtroppo, tali proposte operano da palliativo a fronte di un settore destinato ad essere dimenticato, che sopravvive grazie al lavoro di chi vuole mantenere intatta la memoria di un piccolo eroe che ha salvato diverse generazioni friulane. Una storia millenaria testimoniata da filari di gelsi e dalle filande abbandonate.


Bibliografia: /pubblicazioni